Il ritorno di Sandokan, l'antichilista

Il ritorno di Sandokan, l'antichilista

𝐋𝐚 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐚 𝐦𝐢𝐧𝐢𝐬𝐞𝐫𝐢𝐞 𝐑𝐚𝐢 𝐓𝐕

Stasera, lunedì 1 dicembre 2025, RAI1 trasmette la prima puntata di una miniserie intitolata “Sandokan”. Nella speranza di ripetere le passate glorie di un medesimo sceneggiato apparso nel 1976 e interpretato da Kabir Bedi, la nostra mamma televisiva ha approntato un battage pubblicitario notevole. I primi due episodi sono stati presentati in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. Il protagonista Can Yaman in un’intervista ha sentenziato: «Sandokan è un personaggio inclusivo, che abbraccia le diversità, che soffre ed evolve in continuazione» che non vuol dire niente e che dimostra solo quanto il conformismo costringa a frasi scialbe e scontate.

Per prepararmi all’evento e per tornare a ragionare sulla Tigre di Mompracem, ho sfilato dalla mia libreria I Misteri della jungla nera di Emilio Salgàri, in un’edizione di Salani Editore riccamente illustrata. Sono rimasto incantato, come mi succedeva da bambino. Che cosa affascina di Salgàri anche da adulti? E perché rileggerlo per difendersi dalle facili interpretazioni televisive?

Un buon motivo per rileggerlo è senza dubbio cancellare la spocchia di coloro che, osservandoti intento alla lettura, increspano il sopracciglio e deformano l’angolo della bocca per dirvi, senza parole, che vi compatiscono visto che ancora leggete un autore per fanciulli. Strano modo di pensare. Scandalizzarsi perché un adulto legge un romanzo per ragazzi è come dire che i libri gialli debbano essere letti solo da poliziotti e delinquenti o che i Racconti di Padre Brown siano ad unico appannaggio dei preti, o che lo scandaloso Teleny, romanzo pornografico attribuito ad Oscar Wilde, possa essere apprezzato solo da Rocco Siffredi.

Ma c’è molto altro che spinge a rileggere Salgàri anche in età adulta. In primo luogo per rinverdire la vecchissima contrapposizione, che acquistava toni da crociata, tra i lettori di Emilio Salgàri e quelli di Jules Verne, l’altro imprescindibile caposaldo della letteratura giovanile. Contrapposizione tra il popolare Salgàri ed il borghese Verne. Fin da piccolo sono stato tormentato da questa accusa: ami Salgàri allora sei un cialtrone. Cialtrone come i lettori di fumetti che bene si associano all’epopea salgariana, contrapposti ai lettori di saggi scientifici che si riconoscono in Verne. Molto più chic leggere Verne con la sua incrollabile fede nel progresso, nella sua indefessa esaltazione della tecnica. Per andare sulla Luna o al centro della terra o 20000 leghe sotto i mari si legge Verne e si venerano le sue stesse divinità, fatte di Nautilus ultraccessoriati, di professori che danno il “segnale della partenza”, di navicelle pronte a salpare per lo spazio. Ma per andare nell’unico posto che veramente vale la pena di essere visitato, al centro del cuore dell’uomo, bisogna affidarsi alla penna di Salgàri che configura con la sua retorica, spesso popolaresca e sgangherata, la via dei sentimenti che ivi albergano, con tutte le loro ombre ctonie.

A dispetto della prosa di Verne, sempre precisa, misurata, ineccepibile da un punto di vista scientifico e formale ma che non lascia spazio a nessuna fantasia (nonostante parli di un futuribile), ti vincola alla realtà e ti schiavizza, la prosa di Salgàri, nel suo patchwork di parole esotiche che quasi mai definisce, si lascia andare a suoni e colori che sembrano inconsulti ma che ricostruiscono la scena senza necessità di scientismo, affidandosi al puro flusso sentimentale.
Attraverso il ghiribizzo retorico ridondante, al limite della prosa stracciona ed eccessiva degli ubriachi, fa vibrare corde viscerali, mentre Verne al più tocca le volute più superficiali del cervello. Salgàri, il notturno, attinge ai demoni più oscuri della psiche, Verne il diurno si rivolge alla coscienza cosciente della veglia. Salgàri è trasognato, Verne è vigile. Salgàri è dionisiaco, Verne apollineo.

Verne costruisce i suoi eroi secondo l’epopea decadente dell’odierno. I suoi sono eroi solitari, o meglio elevano il loro egoistico individualismo a regola di vita. Come leggere diversamente il cupo mondo sottomarino del Capitano Nemo, o il Professor Otto Lidenbrock di Viaggio al Centro della Terra o Phileas Fogg de Il giro del Mondo in 80 giorni. Al più, alla maniera anglosassone, questi eroi modernisti hanno dei maggiordomi, dei luogotenenti, dei sottoposti cui affidare compiti di secondo piano.

L’eroe salgariano per eccellenza, Sandokan, è di tutt’altra pasta. Solo in apparenza è un eroe lineare alla ricerca del Bene e del suo regno usurpato. In lui alberga sempre anche un’anima oscura, irosa, pronta a travolgerlo. Quando Yanez gli ricorda il nome degli Inglesi, suoi avversari, Sandokan «fa un salto innanzi, colle labbra contratte pel furore, […] le mani raggrinzate come se stringessero delle armi. […] Le sue labbra contratte, ritiratesi, mostrano i denti convulsamente stretti». La passione tenebrosa ed illimitata che gli agita il petto, erompe in attacchi isterici, in un totale sconvolgimento dei sensi.

Così quando pensa a Marianna, la Perla di Labuan, «dalla cintura così stretta che una mano sarebbe bastata per circondarla» diventa «muto, anelante, madido di sudore”». Un trasporto di amore folle e profondo che non trova riscontro nelle buone maniere dei personaggi di Verne.

Ma questa follia, che alberga con gli altri sentimenti nel suo animo, che rischia di travolgerlo nel suo impeto selvaggio ed incontrollato, non riesce mai ad avere il sopravvento perché Sandokan, eroe antico ed antimoderno, non è solo. Guida una compagnia di amici che sono da lui stesso considerati fratelli, uniti da un unico destino.

Al suo fianco Yanez, il suo fratellino bianco, di origine portoghese, posato, ironico, scaltro, furbissimo nell’escogitare tranelli e in grado di incanalare la furia incontenibile della Tigre di Mompracem. E poi Tremal-Naik ed il fedele Kammamuri in una trama che rende la combriccola compatta e unita fino alla morte nello scopo supremo: cacciare gli usurpatori inglesi condensati nella corrotta figura di James Brooke.

Salgàri confida nell’uomo, nel suo destino, nella sua forza, nei suoi sentimenti. Verne è appeso alla tecnica, sola brutale divinità che tutto annichilisce nell’essere umano, ridotto a suo schiavo o a sua appendice.
Verne preannuncia il mondo che verrà (e che stiamo vivendo), Salgàri è un antico demone che lotta contro tutto questo, proiettando, in prospettiva, il suo eroe oltre le miserie del contemporaneo. Verne è solipsismo moderno, Salgàri è comunità antica. È l’unico viaggio ancora incontaminato in continenti non colonizzati.
È un tuffo in quell’atlante geografico, pubblicato a metà dell’Ottocento, che ancora conservo nel soggiorno di casa appoggiato allo schienale di un divano.

Ogni volta che lo sfoglio mi soffermo a lungo sulla grande mappa dell’Africa che al centro ha un grande buco bianco. Un’enorme zona di cui sono tratteggiati solo i confini, testimonianza che all’epoca quelle terre ancora non erano state del tutto esplorate e per nulla mappate. Quel buco bianco nella mia mente si associa sempre a Emilio Salgàri e ai suoi romanzi. È la testimonianza che in un libro o meglio nel bianco delle sue pagine permangono ancora zone inesplorate che possono essere scoperte dal nostro libero vagare, anche in un mondo ormai completamente esplicito e che non ci riserva più niente. Perchè è meglio immaginare terre inesplorate che si nascondono in quel buco bianco dell’atlante o sognare misteri e jungle nere con le parole di Salgàri piuttosto che cercarle (non le troveremmo) in quell’India che non visitò mai, ma che a sua volta immaginò estraendola dai libri che andava leggendo nelle biblioteche di quella Torino che lo rifiutò e lo fece morire suicida in povertà.

Quella Torino che si apriva alla novità letteraria e che non riuscì mai ad amare del tutto quest’ultimo romantico e roboante scrittore che, forse inconsapevolmente, si opponeva al nuovo che avrebbe travolto tutto trasformando per prima, proprio Torino che da patria misteriosa del magico e del fantastico si trasformò rapidamente nella patria razionale dell’automobile e dell’industria. La Tecnica aveva prevalso con il suo tallone di ferro!

Ma Sandokan eroe antico e ultramoderno aveva trionfato ponendosi come la chiave di superamento di quella arida tirannia del nichilismo e proiettandosi con slancio verso l’oltre uomo. Per rendere omaggio allo scrittore, al suo eroe e per non appiattirsi sulla miniserie televisiva rileggetelo e vi domanderete anche voi: “ma tra Salgàri e Nietzsche ci sono affinità?”.

  • 𝐌𝐚𝐫𝐢𝐨 𝐆𝐫𝐨𝐬𝐬𝐢