Il superuomo, questo sconosciuto
𝐍𝐨𝐧 𝐮𝐧 𝐟𝐞𝐭𝐢𝐜𝐜𝐢𝐨: 𝐦𝐢𝐬𝐮𝐫𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐬𝐭𝐢𝐥𝐞.
Il superuomo di Nietzsche non è un eroe politico né una razza migliorata. Non è un progetto d’ingegneria sociale né un capo carismatico. È una figura di intensità, un tipo umano che porta all’estremo la creazione di valori dopo la morte di Dio. Non comanda gli altri: regna su di sé (Herrschaft über sich). La sua legge non è codice; è stile.
In apertura di "Così parlò Zarathustra", l’uomo è «una corda tesa tra animale e Übermensch, sospesa sopra un abisso». Non c’è ponte senza rischio. La corda vibra perché il vecchio mondo di garanzie è crollato: la trascendenza non copre più, il bene non è dato. Occorre inventare. Qui il superuomo non è un “più” dell’uomo, ma un oltre: Selbstüberwindung, auto‑superamento. Non accumula potenza, trasforma la potenza in forma. Nei taccuini coevi Nietzsche lo affianca all’idea di Zucht (formazione/disciplinamento) e di Typus (tipo umano), non a quella di «razza».
Qui occorre una nota filologica. In tedesco über non è solo «super‑» in senso gerarchico: significa soprattutto «oltre, al di là, passare oltre». Nel lessico di Nietzsche ricorre come Überwindung (auto‑superamento), Übergang (passaggio), e Hinüber nel Prologo dello Zarathustra. Per questo, in italiano «superuomo» — calco che s’impone tra fine Ottocento e primo Novecento, complice anche l’uso dannunziano — tende a suggerire superiorità biologica o dominio; «oltreuomo» (o «oltre‑uomo») conserva invece il vettore del passaggio e riduce gli equivoci.
La via passa attraverso tre metamorfosi: cammello, leone, bambino. Il cammello prende su di sé il peso (disciplina, memoria, debito di sé con sé); il leone dice no al «tu devi» (rovesciamento della morale dei costumi); il bambino, infine, è il sì innocente: capacità di cominciare; volere la propria potenza. Non è regressione: è la maturità che ha oltrepassato il risentimento. Solo chi attraversa il no può generare il sì.
Volontà di potenza non significa schiacciare altri, ma ordinare le proprie forze: dare gerarchia agli impulsi, comporre gli istinti in stile sovrano. Qui torna la diagnosi della "Genealogia della morale": l’individuo «capace di promettere» è colui che ha memoria, durata, responsabilità; non il moralista, ma chi mantiene la parola a se stesso. Il superuomo è questa tenuta interiore, non un super‑eroe di cartapesta.
L’antagonista è l’«ultimo uomo»: senza vertigini, amante di sicurezza e comfort, pronto a trasformare la morale in garanzia sanitaria. Il superuomo non è il suo opposto sociologico, è la sua confutazione esistenziale: rischia, seleziona, preferisce la grande salute alla lunga convalescenza dell’«umanità benpensante».
Con l’eterno ritorno il pensiero si fa prova: vivere soltanto ciò che si può volere di nuovo. Il sì pieno a questa misura non è l’atto di un «io» sentimentale; è la statura di un tipo. Zarathustra lo sa e «si spezza» su quella parola: il superuomo è colui che sa volere l’eternità dell’istante, non perché eterno, ma perché degno. Questa misura ha un nome operativo: amor fati — volere ciò che accade.
Nessun populismo qui, nessuna pedagogia del gregge. Quando Nietzsche parla di Zucht (allevamento, disciplina) e Auslese (selezione), parla dell’anima: allenare, scegliere, scartare dentro di sé. La biologia razziale non c’entra: è propaganda postuma contro il testo. Il superuomo è aristocrazia di tipo, non di sangue; distanza come lucidità, non come disprezzo.
Politicamente, questo non si traduce in un programma. Il superuomo non fonda partiti: fonda misure. È criterio per giudicare vite, non ricetta per amministrare stati. Dove la democrazia, il nazionalismo, il socialismo cercano consenso, lui cerca altezza. Non chiede uguali opportunità, chiede occasioni per la forma.
E qui la forma trova il suo laboratorio: l’artista è il tipo umano più prossimo all’Übermensch. Non perché “genio” romantico, ma perché vive della disciplina che l’oltreuomo esige: trasforma la potenza in forma (Formgebung), pratica una Zucht di sé, orchestra gli impulsi in stile. Dove l’ultimo uomo domanda garanzie, l’artista espone l’opera al rischio del divenire; dove la morale accumula colpa, egli converte la ferita in motivo. Qui la prova dell’eterno ritorno si fa mestiere: l’opera vale se può essere voluta di nuovo. L’arte non cerca consensi: esige spazi di forma — e li inventa. Per questo l’artista è il più vicino al “bambino” delle metamorfosi: innocenza che comincia, gioco serio che promette. In questo senso, il ritorno non è dottrina: è regola d’officina.
L’orizzonte è l’amor fati: amare ciò che accade, fino al punto da volere che accada di nuovo e in eterno. Non colpa, non espiazione, ma danza. Superuomo è il nome della nostra misura quando la misura non viene più dall’alto ma da dentro. L’innocenza del divenire è il suo vangelo. Dove l’ultimo uomo domanda sicurezza, il superuomo risponde con stile. Dove gli altri cercano scuse, egli cerca forma. Chi si attende un codice resta deluso; chi cerca un compito trova una strada: farsi capaci di ciò che si è.
— 𝐄𝐫𝐚𝐜𝐥𝐢𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐑𝐢𝐚𝐥𝐭𝐨