La regola del No. Perché l'Unione deve archiviare l'unanimità

La regola del No. Perché l'Unione deve archiviare l'unanimità

𝐏𝐢ù 𝐦𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨𝐫𝐚𝐧𝐳𝐚, 𝐦𝐞𝐧𝐨 𝐯𝐞𝐭𝐢…

Il 22 ottobre 2025, il Parlamento europeo ha discusso e approvato in plenaria (310 sì, 277 no, 53 astenuti) una risoluzione che sollecita l’avvio della riforma dei Trattati per superare la regola dell’unanimità. In pratica si apre la verifica su due fronti: estendere il voto a maggioranza qualificata in Consiglio (55% degli Stati che rappresentino almeno il 65% della popolazione) in molte materie oggi soggette all’unanimità; sostituire le procedure speciali con la procedura legislativa ordinaria di codecisione Parlamento–Consiglio.

L’Europa è più grande, più esposta e più necessaria di quanto i trattati oggi riescano a contenere. Continuare a chiedere l’unanimità significa consegnare a chiunque — per interesse o ricatto — un telecomando sulla capacità dell’Unione di agire. La via d’uscita è nota: spostare sistematicamente il Consiglio verso la maggioranza qualificata (QMV), estendere la procedura legislativa ordinaria e rafforzare il ruolo del Parlamento.

𝐂𝐨𝐬𝐚 𝐜𝐚𝐦𝐛𝐢𝐞𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞, 𝐢𝐧 𝐜𝐨𝐧𝐜𝐫𝐞𝐭𝐨:
• Fine del veto generalizzato in Consiglio in aree chiave: energia, allargamento per fasi, parti della PESC/PSDC, strumenti economici e sanitari transfrontalieri.
• Stato di diritto con denti veri: niente più unanimità per sanzionare violazioni sistemiche; ruolo della Corte di giustizia e decisioni a QMV.
• Competenze dove servono: salute, difesa, frontiere e procurement comune con controllo parlamentare.

𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡é 𝐥’𝐮𝐧𝐚𝐧𝐢𝐦𝐢𝐭à 𝐯𝐚 𝐬𝐮𝐩𝐞𝐫𝐚𝐭𝐚: Un solo governo può bloccare un pacchetto fiscale o energetico per mesi in cambio di concessioni estranee al merito. Le sanzioni alla Russia vanno rinnovate ogni sei mesi all’unanimità, esponendo l’UE a logoramenti e scambi opachi. Questo non è un incidente: è la fisiologia della regola del “tutti d’accordo o niente”.

𝐋’𝐨𝐛𝐢𝐞𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐢 “𝐩𝐢𝐜𝐜𝐨𝐥𝐢”: La QMV non schiaccia gli Stati minori: cambia gli incentivi. Senza potere di ricatto, la minoranza deve entrare nel merito per migliorare i testi sapendo che il voto finale dipenderà dalla qualità delle argomentazioni. In parallelo, più trasparenza del Consiglio, più iniziativa legislativa del Parlamento e controllo giudiziario: poteri bilanciati, non arbitrio della maggioranza.

𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐬𝐢 𝐟𝐚, 𝐠𝐢𝐮𝐫𝐢𝐝𝐢𝐜𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞: L’art. 48 TUE consente di aprire la riforma: il Consiglio trasmette le proposte al Consiglio europeo, che decide a maggioranza semplice se convocare una Convenzione o una Conferenza intergovernativa. Una scelta coraggiosa è prevedere l’entrata in vigore con quattro quinti delle ratifiche, per evitare che un solo Parlamento nazionale blocchi tutti. È la lezione delle federazioni: l’unanimità è la regola dell’immobilità. Il paradosso, infatti, è questo: per superare l’unanimità serve, in linea di principio, l’unanimità. Tuttavia esistono vie pratiche per ridurre subito il potere di veto:

  1. Clausola passerella (art. 48.7 TUE) — il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità, può spostare ambiti delimitati alla maggioranza qualificata.
  2. Cooperazioni rafforzate — almeno nove Stati possono procedere insieme su dossier circoscritti senza attendere tutti.
  3. Entrata in vigore a quattro quinti — ipotesi del Parlamento: le riforme scattano quando ratificate da almeno 4/5 degli Stati membri, così da evitare che un solo Parlamento nazionale blocchi l’intero pacchetto; i restanti Stati potranno aderire successivamente.

𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡é 𝐨𝐫𝐚: Con più di 30 membri all’orizzonte, il modello‑veto implode. La QMV rende prevedibile l’azione esterna (sanzioni, commercio), accelera transizione energetica e sicurezza (niente ostaggi di singoli “no”), e consente risposte sanitarie rapide, senza 27 semafori rossi ma con una doppia maggioranza ampia: nessuna decisione imposta da una minoranza. L’Unione smette di reagire a scatti e inizia a governare il proprio tempo politico.

𝐓𝐞𝐬𝐢
L’unanimità non protegge l’Europa: la espone. Se vogliamo un’Unione capace di difendere interessi e valori, va sostituita con maggioranze qualificate, trasparenza e controllo giudiziario. È riforma istituzionale, sì — ma soprattutto assicurazione operativa in un mondo che non aspetta i tempi morti del nostro “tutti d’accordo o niente”.

Spiace che il partito italiano di maggioranza governativa, per voce dei suoi eletti al Parlamento europeo, abbia votato contro questo percorso: la contrarietà si fonda su un equivoco. La QMV richiede una doppia maggioranza ampia (55% degli Stati/65% della popolazione), non espropria l’Italia e mantiene l’unanimità sulle scelte “storiche”; toglie invece il veto sui passaggi tecnici che oggi paralizzano l’Unione. L’esperienza recente — minimum tax globale, pacchetti per Kiev bloccati e sbloccati a colpi di scambi — mostra che il veto indebolisce anche l’interesse nazionale. Se l’Italia vuole contare, la sua forza sta nel costruire maggioranze europee — non nel minacciarle.

— 𝐒𝐞𝐯𝐞𝐫𝐢𝐧 𝐀𝐳𝐢𝐦𝐮𝐭