Nietzsche e Buddha

Nietzsche e Buddha

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Nietzsche e Buddha si incontrano dove la filosofia smette di fabbricare sistemi e diventa clinica dei valori: diagnosi della sofferenza, tecniche di cura, stile di vita come terapia. La genealogia ĆØ la lente comune: l’uno parte da dukkha—l’attrito strutturale dell’esistenza—e ne cerca le cause nell’attaccamento e nell’ignoranza percettiva; l’altro risale le origini del risentimento e dell’ipertrofia della coscienza colpevole, scovando nei ā€œvalori supremiā€ l’ombra di una fisiologia decaduta. Qui i due si separano nella direzione del farmaco: il Buddha interrompe la catena della sete (taṇhā), Nietzsche la rilancia come potenza di formare e trasvalutare, entro l’orizzonte dell’eterno ritorno.

Per Nietzsche il buddhismo ĆØ più onesto del cristianesimo: non inventa un giudice oltremondano, non commercia colpa e redenzione, lavora su corpo-mente con una disciplina sobria; e tuttavia, nella sua lettura, resta una profilassi di sottrazione, una medicina che abbassa la temperatura per non bruciare. Nella Genealogia, l’ascetismo occidentale ĆØ la grande macchina che converte impotenza in valore: monachesimo, coscienza penale, santificazione del dolore—un circuito che il buddhismo non condivide, perchĆ© non conosce peccato, non cerca capri espiatori, non ipostatizza un ā€œioā€ da punire o salvare. Anattā ĆØ chirurgia dell’idolo: scioglie la sostanzialitĆ  del sĆ© negli aggregati; l’Ottuplice Sentiero ĆØ tecnologia dell’attenzione, non teologia dell’espiazione. Ma proprio questa economia dell’intensità—raffreddare, deporre, alleggerire—è ciò che Nietzsche teme nelle culture stanche: la cura funziona, ma a prezzo della grande salute, cioĆØ della forza di dire ā€œancoraā€.

Il punto di frizione viene a fuoco sul lessico dell’io e degli affetti. Il Buddha smonta l’illusione proprietaria del soggetto e addestra una karuṇā (compassione) precisa, priva di culto del dolore; Nietzsche smaschera lā€™ā€œioā€ come finzione grammaticale per mostrare lo spettacolo del corpo in azione—pulsioni, comandi, obbedienze—e diffida del Mitleid quando diventa programma morale, perchĆ© moltiplica debolezza e risentimento. Due fisiologie morali: una disinnesca l’escalation del desiderio perchĆ© prolunga l’errore percettivo dell’io, l’altra teme l’alleggerimento perchĆ© toglie slancio alla creazione dei valori. E tuttavia stanno sullo stesso terreno finito: nessun tribunale trascendente, solo pratiche—meditazione, sorveglianza su di sĆ©, dieta degli affetti da un lato; martello genealogico, disciplina di stile, esperimenti di auto-formazione dall’altro.

Qui si innesta il nodo esplicito tra Nirvāṇa e nichilismo. Il Nirvāṇa ĆØ la cessazione della sete e dell’ignoranza che fabbrica lā€™ā€œioā€: spegne l’attrito che genera dolore senza appellarsi a un oltremondo, estinguendo non la vita ma le sue illusioni operative. Il nichilismo in Nietzsche ĆØ il punto in cui i massimi valori perdono forza vincolante—«manca lo scopo; manca la risposta al perché»—e la cultura si biforca: volontĆ  di nulla (nichilismo passivo, stanchezza che vuole quiete) oppure forza che demolisce per rifondare (nichilismo attivo, cantiere della trasvalutazione). Dove il Nirvāṇa interrompe il circuito desiderio-frustrazione allentando l’appropriazione del sĆ©, Nietzsche legge quella pace come segno fisiologico di decadenza: rimedio per organismi esausti, non esito per nature ascendenti. La divergenza ĆØ nella temperatura del farmaco: il Buddha raffredda per vedere chiaro, Nietzsche aumenta per creare chiaro. In termini genealogici: il primo scioglie l’idolo del sĆ©, il secondo smaschera l’idolo del Bene e pretende nuovi criteri di forza. CosƬ, se il Nirvāṇa ĆØ clinica del desiderio che spegne l’errore percettivo, il nichilismo attivo ĆØ officina che rifĆ  gli attrezzi del valutare; il primo chiama ā€œlibertĆ ā€ l’uscita dal vincolo della brama, il secondo chiama ā€œlibertĆ ā€ la capacitĆ  di imporre forma ai propri impulsi.-š„š«šššœš„š¢š­šØ šš¢ š‘š¢ššš„š­šØ